La
storia di Catlina
Questa
storia racconta di una bambina che si chiamava Catlina e che un
giorno stava giocando in un prato: raccoglieva fiori e si divertiva
a salterellare sull’erba quando, ad un certo punto, pesta un’ombra.
Questa, però, purtroppo era la morte che, offesa, le dice che
sarebbe andata a prenderla la sera stessa. Catlina corre a casa
spaventata e racconta alla mamma l’accaduto, la quale la rassicura
dicendole di venire a dormire accanto a lei, nel suo letto così,
quando la morte sarebbe arrivata, si sarebbe svegliata per aiutarla.
Quella notte Catlina si svegliò perché sentiva la morte che stava
salendo su per le scale, chiamandola: "Catlina sto venendo a prenderti:
sono al 1° piano". La bambina allora cerca di svegliare la mamma,
scuotendola: "Mamma, mamma, mamma svegliati: la morte mi sta venendo
a prendere", ma la mamma non sentiva e non si svegliava. La morte
ripete alla bambina sempre la stessa frase per ogni piano (Catlina
abitava all’ultimo piano di un palazzone). La bambina è sempre
più terrorizzata e continua ad invocare invano la madre per aiutarla;
cerca persino di svegliarla pungendola con uno spillo, ma la mamma
sembra addormentata così profondamente da non sentire il dolore
delle punture: il suo braccio sanguinava e Catlina sente la morte
sempre più vicina, fino a quando si sente dire: "Catlina sono
ai piedi del letto!………Catlina sono venuta a prenderti!!!!…….."
e se la porta via. Laura Carelli, 75 anni (Coazze).
La
torre delle streghe
Tutti
a Giaveno conoscono la Torre delle streghe, che si trova vicino
al paese: è un edificio disabitato, dentro il quale molto tempo
fa visse una masca conosciuta da tutti, che si chiamava Clerionessa.
Si diceva che questa vecchia non fosse proprio una strega, ma
un’esperta di magia che cercava di aiutare la gente mettendo a
disposizione loro le sue conoscenze. In paese la rispettavano
tutti, invece di aver paura di lei, e si vedeva spesso tanta gente
che saliva le scale della sua torre per andare a chiedere consigli,
per farsi fare delle fatture contro il malocchio o per farsi leggere
il futuro. Qualcuno, si dice, che sia andato a chiederle qualche
pozione magica per far tornare la persona amata! Infatti un giorno
andò a trovarla un ragazzo che da molto tempo corteggiava la fanciulla
più bella del paese: aveva già provato di tutto per farsi notare
da lei, ma niente da fare; non le rimaneva che sperare in Clerionessa.
La vecchia, quando lo vide entrare, capì subito cosa era venuto
a chiederle il ragazzo prima che lui aprisse bocca: gli disse
di tornare fra una settimana. Dopo una settimana, il giovane,
andato a ritirare la sua pozione, decise di usarla immediatamente,
approfittando della confusione che c’era (era la festa di martedì
grasso), e la versò nel bicchiere della ragazza. Quando la fanciulla
bevve quello che credeva essere vino, iniziarono i guai: bastarono
pochi attimi poi lei lanciò un grido e scivolò a terra; nessuno
riuscì a farle riprendere i sensi e pochi minuti dopo morì. Il
ragazzo non sapeva più cosa pensare, ma il peso del segreto era
troppo grosso per lui, e così, poche ore dopo, tutto quanto il
paese ne venne a conoscenza. La rabbia della gente si diresse
non contro il giovane, ma verso la strega: una grossa folla di
gente assaltò la torre di Clerionessa, la quale venne salvata
dal linciaggio da alcune guardie. Venne in seguito processata;
non fu bruciata, ma la sua condanna fu molto peggio: la murarono
viva dentro una stanza della sua stessa torre. Da quel giorno
cominciarono a girare strane voci in paese: si diceva che la strega
rifiutasse il cibo che gli passavano da un buco della parete murata,
e non si capiva come facesse a restare viva. Cominciava a incutere
più paura dopo che era stata rinchiusa che non prima, quando era
libera! La gente del paese, comunque, aspettava con ansia la sua
morte; ma lei non diede mai questa soddisfazione a nessuno. Un
giorno, infatti, uno dei carcerieri che era andato a portarle
da mangiare, vide che la cella era vuota; abbatterono così il
muro per controllare meglio, ma la strega era sparita nel nulla.
Da allora tutte le notti si sentono degli strani rumori e dei
lamenti provenire da quella torre, e la gente pensa che sia opera
del fantasma della strega. Bruno Tessa, 52 anni (Giaveno).
L'arco
delle streghe
Nella
borgata villa si trova l’arco delle streghe: un arco molto vecchio
che si trova sotto una torre altrettanto vecchia, dove passa la
strada. Il nome "l’arco delle streghe" è stato dato perché si
racconta una vecchia leggenda (di circa cento anni fa). In questa
leggenda si racconta di una strega che aveva fatto morire con
la sua pozione un viaggiatore che gli aveva chiesto di farlo diventare
giovane. La strega, naturalmente, è stata subito accusata ed imprigionata
proprio in quella torre, sopra l’arco delle streghe. Allora la
strega, per non farsi bruciare sul falò, è scappata con un incantesimo,
per merito di erbe e di formule magiche che lei conosceva. Il
giorno dopo, quando la guardia è andata a vedere come stava la
prigioniera, non ha più visto nessuno: c’era soltanto dell’erba
bruciata, non si sa in quale modo. La sera dopo si sentivano dei
lamenti e dei pianti paurosi dentro la torre stessa, senza che
ci fosse però nessuno dentro. Subito la gente gli ha ricamato
sopra una leggenda, anche se non si sa se quei lamenti fossero
stati dell’anima del morto avvelenato oppure della strega. Nella
Val Sangone ci sono diversi posti dove i vecchi raccontano che
si tengono incontri di maghi e di masche. Questi posti sono considerati
luoghi dove si riuniscono le streghe, più che altro per la forma
e le posizioni che hanno certe pietre. Sembra però che ogni anno
le streghe si diano proprio appuntamento perché si possono trovare
per terra dei resti di fuochi bruciati. Non si sa se queste cose
siano state fatte apposta da qualche "balista" (mattacchione);
però questi avvenimenti fan sì che la leggenda rimanga viva.
Testimonianza
di Eugenio Visconti
Anni 85 (nato a Roccaverano - AT, residente a Spigno Monferrato
- AL - (I fatti raccontati sono successi intorno al 1930). "Io
avevo quattordici, quindici anni; quando ho visto il ciair (il
chiaro) avevo diciassette anni, sono del ’14, quindi… Ho visto
il chiaro a Menasco, è in campagna, era un chiaro che dire non
si può dire ma si vedeva che girava alto così da terra, 1 m, 80
cm da terra, faceva un’ombra così e chiaro tutto intorno, tutto
uno splendore così. Di notte (e si girava senza luci normalmente)
si presentava nel rivass (terreno inclinato, non necessariamente
vicino a un fiume), nell’Isola, in posti dove a piedi non si può
neanche andare, andava veloce come uno a piedi , e poi ogni tanto
si spegneva ,ma un secondo eh, faceva che spegnersi, faceva soltanto
un pezzetto come di qui a là (2 o 3 metri),poi di nuovo faceva
chiaro. (Io l’ho visto), urca!, (quando l’ho visto da vicino)
avevo una pietra da tirargli, mi è caduta dalla paura. Pensavo
che fosse un uomo, invece non c’era nessuno, era grosso, faceva
uno splendore (come) una lanterna, non una luce viva, una luce
un po’ come (quella di) un lanternino, quei lanternini di una
volta che facevano una luce un po’ annebbiata, un po’ scura, una
bella luce, si vedeva… (Non volava in alto) tanto alto no. Poi
anche buonanima di mio papà una volta (ero arrivato e gli ho detto)
"Guarda che era sotto il rivass ". "Vado a vedere". Lui non aveva
paura. Quando era sul rivass l’ha visto il chiaro da sotto che
girava, poi (s’accendeva e) si spegneva, poi s’è girato verso
di lui e lui ha avuto paura. Non si poteva capire cosa fosse.
Battistino anche l’ha visto. (Da 5-6 m) non si poteva capire se
ci fosse qualcuno, si vedeva che c’era qualcosa lì, ma non che
si potesse capire, come se ci fosse un nido, un nido d’uccello
grosso, c’era un po’ di volume lì. (Non era una luce come una
lampadina) ma come una lanterna. Poi non l’ho più visto, gli altri
non so, mio fratello Battistino l’ha visto, buonanima di mio padre
l’ha visto e io non l’ho più visto. Di luci così a volte c’è il
sole, a volte c’è la luna che picchia in un vetro e manda splendore,
ma è una luce che si conosce, invece quella là andava, nei campi,
attraversava anche la strada perché io, andando a Mombaldone,
lui montava il rivass andando su e i nostri vicini avevano la
legna sopra, io credevo che fossero i nostri vicini, ma quello
lì è salito su come niente, andava tanto forte in salita quanto
in pianura e l’altezza era sempre uguale, poi ha girato, è sceso,
veniva vicino a me e io avevo una pietra da tirargli ma avevo
paura, non sapevo perché… Questo è successo a Menasco (gli altri
l’hanno visto) altri giorni, altre sere, sempre (in quel periodo)lì
,in giro, l’hanno visto giù dal Bormida, l’hanno visto sopra dallo
stradone, quella zona lì. [ Menasco è una cascina tra Montechiaro
Denice (AL) e Spigno Monferrato (AL)] Poi un’altra, che dicono
di non dirle no, io andavo a vegliare, andavo alla stazione in
compagnia, arrivavo a casa di notte all’una a volte no, poi mangiavo
(c’era un cassetto nel tavolo e c’era della roba dentro da mangiare),
accendevo il lume perché allora avevamo il lume, non avevamo la
luce (elettrica), e sopra dormiva mio fratello, sopra si sente
un tac, tan tan tan…,c’era una stanza di là, lui apre il lucchetto,
poi c’era una scala che scendeva giù e qui c’era la porta che
usciva fuori, quella che veniva dentro, poi c’erano ancora altre
porte tutte sprangate, vado a vedere ma non c’era nessuno. (Avevo
sentito come dei) passi, pensavo fosse qualcuno di quelli che
erano a dormire che veniva a vedere. Ho perfino battuto nel tavolo,
ma non si è neanche rotto. Le porte non si chiudevano con la serratura,
avevano un barot (ramo) così contro la porta, come han fatto a
uscire non so, dove sono andati (nemmeno). Quando mio fratello
ha acceso la luce nella stalla al mattino per pulire i buoi ha
acceso la luce, e come l’ha accesa ha preso uno schiaffo (e non
c’era nessuno. Questo è successo nello stesso periodo e nella
stessa zona,) era nella semina del grano che ha preso lo schiaffo
(ottobre-novembre, non era la mattina dopo dei passi, ma) 15-20
giorni dopo, poi noi non calcolavamo,(non stavamo) a guardare,
allora andavamo così. (Sempre nella cascina a Menasco), che si
passa da qui andando giù dove c’è quella segheria, abitavamo là;
io e mio fratello Edoardo, quello che è morto, dormivamo nella
stessa casa ma dalla parte di là. Una notte ci tirano via le coperte
da addosso, ma noi eravamo svegli, non che dicano che sognavamo
perché uno solo può sognare… Tira da una parte, tira dall’altra,
andavano via le coperte da addosso. (Eravamo) svegli, di sicuro,
perché quando sogni è diverso, il sogno lo vede sempre uno, non
che due possano combinare un sogno solo. (Non c’era nessuno),
c’erano solo le coperte che andavano via. Secondo me era una fisica,
un’invidia. Nella medesima casa dove abitava Manara ci stava sua
sorella, che poi è andata a abitare a Rocchetta, che ha sposato
Manara e stavano poi nella casa dove abitavamo noi , dalla parte
di là, perché c’erano tante case nella stessa casa e avevano un
bambino , aveva un anno, non ricordo più se aveva 8 mesi, o un
anno o un anno e mezzo, per lì là, e di notte piangeva sempre.
E loro erano gente un po’ più furba di noi, capivano qualcosa,
ha preso un fucile e fa due colpi nell’aria fuori dalla finestra,
non ha mai più pianto. Io ho idea che sia un’invidia, una fisica
forte, che siano magari quelli deboli che la sentono, quelli che
hanno più paura, magari che gli faccia effetto. A me, dopo che
ho fatto il soldato, queste cose qui non sono mai più capitate.
(Mi capitavano) sotto i vent’anni, ma non solo a me, anche agli
altri. (Si pensava che qualcuno più forte, mentalmente più forte,
agisse negativamente influenzando delle persone più deboli che
subivano queste cose, che però non è che non si vedessero, erano
create ad arte); si formavano anche delle bestie, si formavano
anche diversamente, allora si formavano veramente. A Garbavoli
c’era una capra… tua nonna Santina lei lo sa perché andava a portare
le bestie al pascolo anche lei, lei lo sa, non è che lo dica io…la
capra più bella che avevamo noi , la capra più buona che era pronta
ad avere i piccoli, se passava da quella casa là pativa, i nostri
vicini di là, la capra non voleva più andare avanti di lì, addirittura
si inginocchiava e non passava più, non è più passata di lì. Però
mia madre diceva: "Non andate più di lì a portare le bestie al
pascolo, andate dall’altra parte. Qualcosa sapeva mia madre. Le
altre (capre) andavano (avanti, questa invece) andava fino vicino
a quella casa, poi non andava più. E poi a questa capra, non siamo
più andati là allora, i topi sono andati a fargli i buchi sul
collo che si vedeva l’osso, e va be’, una sera (le fanno) un buco,
l’altra sera le fanno un buco, buonanima di mia madre le ha fasciato
il collo. Anche se era fasciato lo facevano di nuovo, buona fine
che le hanno fatto cinque o sei buchi, la capra non stava più
su da coricata, se non sta più su da coricata la capra muore.
Poi c’era mio cognato Ernesto e diceva "Ma cosa ho da fare a questa
capra?". Mio padre gli ha detto "La ammazzi e poi la sotterriamo".
E così ha fatto, ha fatto un bel buco, l’ha ammazzata e dopo che
era sotterrata ha belato e ha fatto la sua voce. Non è che lo
dica io, ma tua nonna lo sa, andava dietro anche lei alle capre,
vedeva che s’inginocchiava e non andava (avanti) perché c’era
una fisica , c’era una potenza, c’era qualcosa. Masca vuol dire
strega. Sapevamo chi erano, lo sapevamo, non potevamo dirglielo
eh. Una era quella che abitava a Garbavoli vicino a noi dalla
parte di là, si chiamava Pina, una vicina di casa, la chiamavano
Pina, era la suocera di quella lì, Vittoria, che adesso è morta
anche lei, quella lì era una strega. (Se c’è ancora qualcuno a
Garbavoli che ne sappia qualcosa non saprei, quello lì me l’hanno
raccontato anche altri di quella donna Pina, allora io racconto
solo quello che mi hanno detto, ma può essere vero o non essere
vero, non posso dirlo, ma quella lì ha fatto morire suo nipote
ai tempi dell’altra guerra. Suo figlio era in guerra nella guerra
del ‘14-’18, era sposato e avevano questo bambino, maschio, e
a lei piaceva andare a ballare. ‘Ste donne andavano a ballare,
lasciava a casa questo bambino, a volte lo metteva nella culla,
magari che guardasse… Una volta è andata a ballare ed è arrivata
a casa che il bambino era bell’e soffocato, tra la culla e il
letto, morto. Poteva anche essere (un incidente), qui raccontano
quello. (A Spigno all’epoca, o forse prima del ’14, ci sono state
in piazza bruciate delle streghe al rogo, hanno bruciato diverse
donne) poi avevano detto che il Papa le ha benedette, che non
potevano più lavorare, d’ogni modo adesso no eh, ma (parliamo
di) 70-80 anni fa. Non capitava solo a me, anche agli altri, qualcosa
vedevano tutti, avevano quella potenza lì ‘ste streghe. Ai Gherbè
, i padroni lì dei Gherbè, quando siamo andati ad abitare noi
(nella cascina che chiamavano così), di là c’era quella famiglia
lì, e ha detto: "Quando pulite il maiale non lasciatelo uscire
e andare di lì, che se va di lì muore; andava là e moriva. Tutti
gli anni, tutti gli anni, se mollavano di là il maiale moriva,
tutte le volte. Si allontanava un po’, a volte lo vedevano, allora
faceva 50 metri, 100 metri, e il maiale moriva, andava verso quella
casa là, da quella casa là a noi ci saranno stati 100 metri… non
c’era niente da fare. [ I Gherbè erano un gruppo di case tra Mombaldone
(AT) e Spigno Monferrato (AL)] Lì ai Gherbè Secondino è arrivato
di notte tardi, non so, per andare a dormire c’è una scala, per
salire, lui sale la scala, sempre a quei tempi là, saliva la scala
per andare di sopra, dice che gli è venuto incontro un ribatòn
(come qualcosa che rotola), non ha capito cos’era, si sente rovesciare,
sente paura, e al fondo aveva sprangato la porta, non poteva andare
via, (ma) in casa non c’era nessuno. Si formavano e disformavano
, io non so come sia. Allora non è a quei tempi là, era un po’
più tardi (un po’ prima della seconda guerra mondiale), dormivamo,
ma io ero sveglio, e poi avevamo Ivana piccola, mi sembra, eravamo
svegli, e vicino alla porta (bussano) dieci o dodici volte, ma
forte, che io volevo saltare giù a prendere la rivoltella; ma
prendo la rivoltella, vado là, apro la porta, in sostanza che
non ho trovato nessuno. Ma la porta l’hanno picchiata eh, non
che sia stato un gatto, la porta l’hanno picchiata. E io ho aperto,
sa c’era qualcuno gli sparavo. Non c’era nessuno. Intanto facevano
paura. Ma tua mamma (rivolto al figlio) può dirlo anche adesso,
non l’ha mai più detto, ma non lo nega quello, perché era sveglia.
Tutte robe che allora c’eravamo dentro, uno diceva, l’altro diceva…
Io dico la verità: da dopo che eravamo lì a Menasco, di notte,
andare a dormire, andare, tornare a casa, avevo paura, e fuori
no, fuori in qualunque posto andavo io non avevo paura; quando
arrivavo a casa avevo paura, andavo lo stesso eh, però avevo paura
(perché all’aperto) ci vedi, (mentre in casa si poteva nascondere
qualche pericolo). Io li raccontavo (anche agli altri questi fatti)
e gli altri raccontavano le loro. Il primo dei Grapiò (Grappioli),
l’ha raccontato lui, quando era giovane, che era già un po’ più
vecchio di me, che si sono scontrati di notte con dei cavalli
grossi che trottavano e gli vanno incontro. Lui si è trovato paura,
ha preso una strada (scorciatoia) dove andare, dice che ha preso
di là verso la Roca (Roccaverano); la mattina si è ritrovato sullo
stradone per andare a Roccaverano. Lui, se è vero, si è trovato
là. Lui è scappato, aveva paura dei cavalli che gli andavano incontro,
e lui per scappare ha tagliato e poi si è trovato sullo stradone
di Roccaverano. Ma lui non sa se l’hanno trasportato, lui si è
trovato paura dei cavalli, si è messo a correre, attraversare,
e dice che il mattino si è trovato sullo stradone di Roccaverano
(avrebbe fatto circa 15 km), io non ho visto. C’erano i furbi,
c’era la fisica, che facevano così. Ma era un brutto vivere eh
allora!, perché se uno ha un po’ d’invidia va lì a farti paura
di notte… Fare paura è un conto, perché andavano anche a far paura
delle volte, magari andavano ad accendere una luce, vuotavano
delle zucche e poi ci mettevano una luce dentro, scherzi!, però
si capivano, si capiva che era uno scherzo che avevano fatto,
ma diversamente, quello che non capivi… è brutto. Io quella lì
del chiaro… ti viene incontro, si spegne, poi ti viene incontro,
faceva un po’ d’ombra, questo chiaro faceva luce, dentro c’era
un affare un po’ più scuro, persone non erano. Io non ho potuto
capire niente, (solo tanta paura). Dopo che ho fatto il soldato
non avevo più paura, allora non ne ho più viste, ma poi dicono
che il Papa le aveva benedette, che non le lasciava più lavorare
(le masche), va a sapere se è vero! (Delle persone che avevano
dei poteri agivano più che altro per fare del male) senz’altro,
cosa vuoi che dica, guarda, noi vedevamo, ma poi dispetti non
che ne abbiamo ricevuti, (non) che abbiamo ricevuto del male o
cose così, noi no, però facevano paura. A raccontarle adesso i
giovani non possono (credere), dicono "Raccontano delle balle",
ma sua nonna può dirlo, sua nonna qualcosa l’ha visto e può dirlo.
Tua nonna ai Gherbè si ricorda, avevamo, di sopra… c’era la volta,
c’erano i legni e le tore da solai (assi da solaio) , e un bel
momento, in quel solaio lì, si sono incrociate tutte le tore,
una girata di qui, una girata di là, e il solaio è andato all’aria.
Poi l’hanno aggiustato, sono tornati a metterli a posto, ma chi
è che è venuto a rancarli? Le tore erano a posto (il solaio era
sano). Li abbiamo trovati così (senza che nessuno li avesse toccati).
Testimonianza
di Santina Visconti
Anni
87 (nata a Roccaverano - AT, residente a Bazzana di Mombaruzzo
- AT - La capra si fermava e non andava più avanti, ne avevamo
tante, sai, poi c’erano anche quelle della mia vicina, una quindicina
le avevo, si inginocchiava e non partiva più; io la picchiavo
con un gurin (vimine), però dopo m’han detto: "Non picchiarla,
che poi si alza da sola", poi è vero davvero. C’erano le masche,
c’era una donna che sapeva fare la fisica perché l’ho capito da
lì, perché quando andavo a portare le bestie al pascolo da quella
parte lì questa capra non andava, si inginocchiava, e (se) andavo
da un’altra parte andava (avanti). L’abbiamo capito per quello
che era la fisica, e dicevano la masca perché faceva la fisica,
magari non ti vedeva volentieri… ti faceva inginocchiare per terra.
Solo una capra sola, ne avevo quattro, cinque o sei, pecore ne
avevo tante da portare al pascolo, quello lì, passando sotto una
casa che c’era quella donna che dicevano che sa far la fisica
… è vero sì perché questa capra s’inginocchiava con le gambe dietro
in alto e quelle davanti in ginocchio. (La donna) macchè, non
si vedeva, si vedeva (che) era dalla finestra magari in casa,
nella sua casa, perché noi passavamo sotto la sua casa, e difatti
quando andavamo da un’altra parte non lo faceva, quando passavamo
vicino, passavamo sotto la sua casa ma non proprio vicino, si
inginocchiava e non andava più. Io piangevo. Quella lì una volta
si affaccia alla finestra: "Vai, vai, che poi, vedrai, la capra
verrà", e difatti mi è venuta dietro. Faceva la fisica, dicevano
che sapeva fare la fisica, era una masca. Ce n’era anche un’altra
(masca), ma non lavorava come quella lì, adesso non ricordo più
bene, ma qualche cosa era buona anche a fare quella là; ma questa
qui di più eh, farmi inginocchiare la capra quando andavo al pascolo!,
e una bella capra, delle più belle! Abbiamo detto qualcosa a mio
padre, ma ha detto: "Ma… lasciatele perdere!". Avrò avuto da nove
a dieci anni. Questi lumini che andavano in giro li vedevamo,
poi si spegnevano, poi si accendevano, dicevano che sono… C’era
gente che sapevano fare la fisica (erano masche) a Garbavoli,
avevano i loro genitori, sì, sì, avevano la famiglia (le masche).
I lumini li vedevamo accesi, stavamo a vedere, poi si spegnevano
e non si vedevano più fino al giorno dopo, scartavano ma non tanto
(erano sempre nella stessa zona). Dicevano a quei tempi che c’erano
le masche, ma sarà stato vero sai? Cattiverie no, facevano quei
dispetti lì alla gente. (Parlavano anche con la gente) ma non
dicevano che erano masche quelli che erano coi lumini vicino.
Adesso non ce n’è più… qualcuno, ma pochi, ce n’era tanti una
volta di quei lumini… eh, tempi diversi erano! Io andavo al pascolo,
avevo cinque pecore e tre capre, andavamo nei boschi e, sai, ne
vedevamo per così delle cose, se avessimo scritto, o segnato qualcosa…
(Nei boschi c’erano) piante di castagna e piante di rovere. Le
facevamo andare nel bosco, mangiavano finchè volevano, e poi le
facevamo andare a casa, bevevano, e poi dopo pranzo le portavamo
di nuovo (e lì vedevano le masche). Mio padre rideva, "Ma vai,
maschere, che non è vero". Li vedevamo proprio come persone. Andavamo
al pascolo insieme. Mia mamma mi ha detto: "Non dirle mica che
è una masca". Lo sapeva, ma a me ha detto di non dirle niente
a ‘ste masche (perché se gliel’avessi detto) forse era meglio,
o era peggio. Ne avevamo proprio una che era vicino a noi, dicevano
"fa la fisica", non so cosa vuol dire. (Quando la capra si inginocchiava
una volta l’ho detto a mia mamma) e intanto mia mamma ha guardato
una sua amica: "C’è quella là". Sapevamo già che era quella donna
lì. Una volta (a questa capra) le abbiamo trovato un taglio sul
collo, ma non sapevamo come era andata a finire, se se l’era fatto
da sola o se gliel’aveva fatto quella là. Mia mamma la ungeva
sempre con l’olio, ci metteva un po’ d’olio, ma intanto ci ha
tirato otto o sette giorni, mia mamma la fasciava, quando si coricava,
non ricordo (se quando era fasciata capitava ancora). Ai maiali
(non faceva) niente. Eh, quella capra lì l’ha visto il brutto!
Quello è successo a noi. Una mattina, che il tetto era sano, forte,
una mattina (ci troviamo) quel tetto tutto disfatto, uno sopra
l’altro, l’altro per traverso… "Oh, cosa è successo!". Sai che
erano uno attaccato all’altro, si sono proprio distaccati, e mia
mamma è andata a vedere, poi ha guardato mio papà e ha detto:
"Eh, è quella là". (Erano) legni, di legna. E quando ha detto
"E’ quella là" ho capito che ha voluto dire questa donna. Niente
rumori; oh, l’ho conosciuta bene io quella lì! Poi ho visto mia
sorella che ha guardato mia mamma, si son guardate perché loro
lo sapevano che c’era quella donna lì che faceva i lavori, (la
fisica). Avevamo la casa ben fatta, sana là, e la mattina ci siamo
alzati, e non abbiamo sentito rumore. "Ma sai che c’è tutto il
coperto scoperto?". Mio fratello dice: "Ma sarà mica piovuto?".
"Ma che piovuto?"… Tutto scoperto, una tegola qui, una di là,
tutto sbardlato (sparso, in disordine). "Porca miseria" mi dico
"cosa è successo?". Poi ho visto mio papà che ha detto a mia mamma:
"E’ quella donna là, è quella là". Quelle che si sono incrociate,
anche quella lì… quella lì è un’altra; non hanno potuto sapere
se era quella donna lì, perché non l’hanno vista andar sopra,
allora c’erano… come si chiamano?, lavori di legno. (Mia mamma)
era andata sopra, è venuta giù, mia mamma: "Oh, ma cosa è successo?".
Va a vedere mio padre: "Oh, ma che cosa?, ma cosa è successo?".
Nessuno li aveva toccati, nessuno della famiglia. Là in campagna
eravamo nel bosco. Si intrecciavano ‘sti legni, erano liste, che
tagliavano la legna, quelle più belle le tenevamo per tirare su
i bachi, in casa, li portavamo noi in casa, e poi li trovavamo
lì, mezzi tutti spaccati (e incrociati). I miei genitori non dicevano
niente eh per quella donna! Era una donna che era buona (a fare
la fisica), ha fatto la fisica. Le coperte si muovevano. Delle
volte c’era il letto fatto, magari poi lo trovavamo tutto sfatto,
in casa nostra, ma sono tanti anni, io ero ancora una bambina,
avevo sette anni o otto. (Facevamo il letto, andavamo fuori, tornavamo
e trovavamo il letto disfatto) ma dopo tanto perché quando andavamo
fuori andavamo a lavorare, quando andavamo a casa si trovava il
letto sfatto, tutta la roba… Qualcuno lo ha fatto quel lavoro
lì, perché altrimenti non ci poteva essere tutto incrociato, tutto…
Mi ricordo mio papà che diceva: "Sono le masche, quelle che fanno
la fisica, che sanno lavorare". Quella (masca) lì sì che l’abbiamo
vista, è venuta in casa, (un lumino) era sulla finestra di casa,
mia mamma l’ha messo spento perché andavamo a dormire e si spegneva,
e poi li ha trovati aperti, non ricordo più se il mattino o la
notte. Ricordo io che ero bambina: "Come ha fatto la masca a venire
in casa che c’era tutto chiuso?". "Eh, ma loro sanno, sanno come
fare, si arrangiano". Io ho detto a mio padre: "E perché non ammazzano
‘sta donna?", "Uh, non si può, non si può". L’avranno altro che
spaventata, (ma lei non aveva paura di) niente. La capra l’abbiamo
portata a casa dal pascolo, era tutta spelata, ci mancava tutta
la lana, e ricordo che mio padre m’ha detto: "T’ha mica visto
quella donna?". Si chiamava Pina, faceva dei lavori senza toccare
niente; ma una volta, quando ero bambina io, ce n’era tante, ce
n’era per così masche! Sono andata a dormire, io coi bambini ero
andata a dormire presto, mia mamma è andata più tardi; una maschera
è andata su per la scala, si è fermata lì da una parte, è andata
su mia madre, quel sacco, sembrava un sacco, le è saltato incontro,
ma non ha conosciuto che era una persona. "Porca la miseria" ha
detto a me "ma cosa m’hai fatto?", "Io non t’ho fatto niente",
e poi l’altra ci ha detto: "Eh, è quella donna". Ma non me lo
dicevano eh! Faceva vedere che era il sacco, ma era una persona.
Mia mamma li segnava (i vermi), prendeva un po’ d’acqua in una
tazza, una scodella, poi cosa ci metteva non ricordo, ci metteva
qualcosa, poi ce la metteva nella sua camera, non ricordo più
bene, potevo ben scriverlo!, erano cose da tener da conto. Una
volta è venuta in casa, ha fatto qualcosa perché poi i bambini
non mangiavano, e l’altra più alta che era mia sorella neanche,
sembrava che non stesse neanche tanto bene. Sembrava che (quella
Pina in casa sua) giocasse come un bambino, adesso non ricordo
più se erano legna o se erano pezzi di carta (tutti diversi) e
gomitoli.
Testimonianza
di Teresa Beratto
Anni
87 (Traversella) "Mia madre mi raccontava una volta che quando
c’era suo nonno vivevano qui le masche, ma queste non sono cose
da raccontare. Un uomo apparso di notte C’è invece una storia
più recente che non è sulle masche ma sul fatto che la vita è
un mistero. C’è un ragazzo che abita qui vicino che si chiama
Gabriele, figlio di Ester , è giovane, avrà vent’anni e viene
qui con la morosa ogni tanto. Quindici giorni fa, si era fatto
tardi e stavano per andare a dormire quando la ragazza si è accorta
che non aveva più gli orecchini e quindi era decisa a ritrovarli
perché altrimenti non sarebbe riuscita a dormire. La casa è solo
con un pian terreno e il primo piano, allora la ragazza scende
verso il grosso cortile per cercare gli orecchini e vede un uomo
seduto su una sedia con la testa appoggiata ad un bastone, ma
il portone era chiuso a chiave e il muro di cinta è molto alto
e non poteva esserci nessuno là. Allora spaventata torna in casa
di corsa, urlando che fuori c’era un uomo ma fuori non c’era nessuno.
Allora Ester, la madre del ragazzo, riconosce in quell’uomo suo
padre morto, perché era solito sedersi lì nel cortile in quel
posto e a quel modo. Ed è proprio un mistero la vita perché se
ci fossero state cinquanta persone non sarebbe apparso, mentre
l’ha visto una ragazza che non l’ha neanche mai conosciuto e non
è sua parente e infatti non ha capito che quello era l’anima del
nonno del suo fidanzato. Gli airali Questa è una storia recente,
mentre mia madre mi raccontava le storie di una volta e diceva
che la nostra casa vicino alla fontana era stata costruita sopra
un airal, una piazzola dove facevano il carbone. Qui c’erano tanti
airal, perché si usavano le piante di castagno per fare il carbone
dai primi anni dell’Ottocento e la nostra casa è stata costruita
dal nonno del nonno di mia mamma, che diceva che in casa sentivano
sempre dei rumori e non potevano dormire la notte, ma non vedevano
mai nessuno. I carbonari Questo mio antenato nel 1821 era già
sposato,quando arrivarono gli sbirri ( la polizia che cercava
i carbonari ) che cercavano un avvocato e suo figlio perché erano
carbonari. Il mio bis-bisnonno stava andando ad Ivrea con il mantello
e lungo la costa incontrò gli sbirri che stavano salendo e lo
fecero tornare indietro per mostrargli la strada, anche se avevano
una carta, fino vicino a Traversella. Lì, vicino al ponte, che
allora era più basso e più stretto, gli uomini gli parlarono in
un linguaggio incomprensibile e come saette avevano già circondato
la casa dei due carbonari con i fucili puntati ed era notte fonda
ma la luna era grossa e molto luminosa. A quel punto dissero al
nonno che poteva pure ritornare per la sua strada, sicuri di catturare
i due che però non furono trovati, né mai più visti. Un uomo apparso
di notte Erano due secoli fa e questo nonno lavorava alla miniera
di Traversella e quando tornava a casa accendeva il fuoco per
fare seccare le castagne sulla grata e intorno metteva ad asciugare
i suoi abiti e gli stivali bagnati dall’umidità della miniera.
Una sera tornando dal lavoro vide che seduto lì vicino al fuoco
c’era un uomo che non conosceva. Allora non abitava nella casa
che si era costruito ma in un’altra, chiese all’uomo sconosciuto
cosa voleva e cosa doveva fare lì e questi rispose che doveva
parlargli. "Hai un figlio che si chiama Bernardo ? " gli chiese,
"non deve sposarsi prima di venticinque anni; sono venuto per
dirti questo." Dopo di che l’uomo sconosciuto sparì. Il figliolo
si sposò prima di venticinque anni, non ascoltando il consiglio
dell’uomo del fuoco, e così a venticinque anni esatti morì e lasciò
orfani due bambini.
Testimonianza
di Pietro Franza
Anni
58 (Traversella) « Il sentiero delle anime Il sentiero delle anime
come mi veniva raccontato da bambino era una mulattiera che partiva
dalla frazione di Scalaro e arrivava a valle fino a Fondo, che
faceva comune e dunque aveva il suo cimitero. Quando in inverno
moriva qualcuno su a Scalaro, il corpo non poteva essere trasportato
fino al cimitero a valle perché per strada c’erano la neve e il
ghiaccio perciò veniva messo nella neve o comunque in qualche
posto al gelo perché si conservasse fino a quando in primavera
si poteva scendere di nuovo a Fondo. Allora si faceva una processione
con tutti i corpi per trasportarli a valle e poi seppellirli nel
cimitero e si utilizzava un sentiero ( quello delle anime) lungo
il quale si trovano delle pietre con delle incisioni di croci
e di uomini e lì si sostava per dire qualche preghiera per i morti.
I vecchi e la polenta Un’altra storia che si raccontava riguarda
i vecchi e la polenta grassa. Quando un tempo i tempi erano duri
e c’era davvero poco da mangiare, le persone più vecchie e incapaci
ormai di lavorare erano davvero un grave peso per i famigliari
e allora, nelle giornate particolarmente soleggiate e calde si
permetteva loro di mangiare tutta la polenta concia, cioè col
burro e il formaggio fuso, che volevano finché fossero finalmente
sazi e, poiché c’era sempre molto poco da mangiare questi ne mangiavano
delle grandi quantità. Poi, li si mandava a passeggiare sotto
il sole forte e caldo e tante volte non tornavano più indietro
perché prendeva loro un colpo e rimanevano là stecchiti. La notte
dei Santi Una tradizione legata alla sera dei Santi, il primo
di novembre, è quella di fare la zuppa di cavoli e le mondelle,
cioè le caldarroste, e lasciarle la sera, prima di coricarsi,
sulla tavola imbandita o vicino al camino perché quella notte
i morti vengono a fare visita ai parenti e hanno fame, per cui
possono trovare qualcosa da mangiare. Ci sono tante persone che
dicono che il giorno dopo hanno trovate molte meno castagne o
zuppa di quante non ne avessero lasciate la sera prima.»
Testimonianza
di Gianni Bordano
C’era un uomo di Durando (un paesino molto sopra Fondo) che aveva
sognato che se fosse andato su un ponte a Pavia avrebbe trovato
un tesoro, così partì e passò tutto il giorno sul ponte in cerca
del tesoro finché incontrò un altro uomo a cui raccontò il suo
sogno. Questi gli rispose che lui, invece, aveva sognato che sotto
il noce di Durando c’era un tesoro. Così il primo uomo tornò a
casa a Durando e cominciò a scavare; trovò così uno scrigno ma
rimase addormentato – interviene Candida a dire che non rimase
addormentato ma riuscì ad aprire lo scrigno che era pieno di gioielli
– comunque alla fine riuscì ad aprirlo e siccome era già notte
aveva messo dell’olio da bruciare dentro ai gusci delle noci per
poter continuare a scavare nel buio e poi rimase addormentato.
Quando si risvegliò disse che intorno c’erano gli urciat, che
gli avevano portato via tutto il suo tesoro. Le masche Se vuoi
sapere qualcosa delle masche devi chiedere a Don Tuc, che io non
ne so niente. Le masche penso che siano solo delle storie; erano
delle specie di streghe – che facevano avere delle visioni, aggiunge
Candida. La pietra dell’uomo selvatico Qui sopra c’è la pera dl’om
salvè, la pietra dell’uomo selvatico, ed è una pietra messa su
dritta su altre tre pietre e vuota dentro – dice Ezio che forse
l’aveva scavata un pastore un po’ scontroso.»
Testimonianza
di Ezio Arnodo
55
Anni «Spiriti Si diceva che una volta che si sentivano gli spiriti.
A Drusacco c’era una casa dove si diceva si sentissero i fantasmi,
ma io, che lì ci sono stato, non li ho mai sentiti perché non
ci credevo. Il lupo e i due ragazzi C’era una volta un giovane
che mentre andava verso Succinto incontrò il lupo e si spaventò
per paura di essere mangiato, ma l’animale gli disse che poteva
continuare per la strada che lui voleva mangiarsi qualcun altro
– di Traversella, dice Candida - … ma io la storia non la so più.
Uomo selvatico A proposito degli uomini selvatici, m i ricordo
quando da piccolo andavo in montagna a Rea chossa, c’erano due
uomini che abitavano vicino al precipizio, ma non ti salutavano
e non parlavano con nessuno; quando ti sentivano passare si chiudevano
in casa e guardavano da dentro quelli che passavano.»
Testimonianza di Lidia Frandino
Anni
57, Saluzzo. Una volta c’era una tradizione che diceva che c’era
una luce che accompagnava gli uomini che andavano d’estate a bagnare
le campagne e le ragazze che andavno a ballare che arrivavano
a casa tardi la sera e allora questa luce li accompagnava e gli
faceva chiaro fino sulla porta di casa. La gente si era affezionata
a questo Luciu Bel, lo chiamavano Luciu Bel, allora gli davano
sempre pane e salame e lui andava via contento, contento".
Masche.
"Una volta c’era una tradizione che diceva sempre che le donne
non dovevano mai stendere la roba fuori di notte, dovevano sempre
stenderla di giorno e di notte raccoglierla di notte perché senno
passavano le masche e gli maledivano la roba e loro non potevano
più mettersela addosso, allora le persone toglievano tutta la
roba e la portavano tutta in casa".
Masche.
"Una volta c’era una tradizione che diceva che le persone si trasformavano
in animali, in bestie di notte e andavano in giro. E allora c’era
una coppia di sposi che si trasformavano in cani e andavano sempre
in giro a fare malefatte e un giorno una persona li ha presi e
gli ha tirato una botta sulla gamba e gli rompe una gamba al cane.
All’indomani va a trovare la sua vicina che gli hanno detto che
non stava bene e trova la vicina con la gamba rotta e allora pensano
che fosse proprio questa persona che si trasformava in animale".
Testimonianza
di Pierina Bailone
Anni
75, Saluzzo. "Una volta c’era una madre che aveva un figlio che
si chiamava Bertoldino e un giorno lo ha mandato a comprare una
mina en cup di grano per le galline. Lui va giù dalla strada e
dice tutto giù: ‘ na’mina en cup’ per ricordarsi e arriva in una
campagna dove portavano via del grano e lui diceva ‘ na’mina en
cup’e gli altri lo hanno sgridato: ‘Non dire così! Non devi dire
na’mina en cup, ma bune carà i nà vena (ne vengano grandi carri).
E allora lui: ‘bune carà i nà vena, bune carà i nà vena ’ va giù
fin che arriva al paese e c’era un funerale, un funerale e lui
‘bune carà i nà vena’ e gli altri lo hanno sgridato: ‘Non dire
così devi dire, il Signore ne abbia pietà e misericordia e allora
lui cambia e dice: ‘il Signore ne abbia pietà e misericordia,
il Signore ne abbia pietà e misericordia, arriva in un posto mentre
andava a casa e stavano uccidendo un maiale e allora lui diceva:
‘il Signore ne abbia pietà e misericordia e gli altri: ‘Non dire
così, dì…’. Com’è?…"Credenze-religione. "Una volta le donne quando
partorivano per un po’ di tempo non potevano uscire da casa, finché
non erano andate a messa a farsi benedire".
Testimonianza
di Enrichetta Frandino
Anni
61, Saluzzo. "Quando ero piccola per guarire dagli orzaioli, al
mattino appena alzata, a digiuno, per farli guarire, mi facevano
guardare tre volte dentro la bottiglia dell’olio".
Credenze-religione.
"Una volta c’era l’usanza che la sera dei ‘Morti’, dopo la festa
dei Santi, si mangiavano le castagne bollite, però bisognava lasciarne
un poco in una scodella, perché di notte venivano i morti a mangiarle".
Testimonianza
di Margherita Morello
Anni
71, Saluzzo. "Io so che dicono che per andare dalle parti dello
Stura c’era una cascina, una casa, con un cortile in ciottolato
tutto particolare. Era fatto per metà con delle pietre grosse
grosse, proprio grosse e per l’altra metà con delle pietre abbastanza
piccole, piccole. A me hanno sempre detto che era il ciottolato
del diavolo, perché il padrone della casa voleva tanto un ciottolato
nel suo cortile e aveva fatto una scommessa con il diavolo. Lui
avrebbe dovuto, mi sembra, correre davanti al diavolo con un carro
e se il diavolo facendo il ciottolato lo avesse preso, fosse riuscito
a prenderlo allora la sua anima sarebbe andata all’inferno. Allora
il diavolo ha cominciato a fare il ciottolato con delle pietre
ben grosse, facendo così andava bene veloce e stava per prendere
il carretto. Ma l’uomo era furbo e aveva detto al diavolo: ‘Non
voglio un ciottolato con delle pietre grosse, lo voglio con delle
pietre piccole, piccole’. Allora il diavolo ha cominciato a lavorare
con queste pietre piccole, ma con le pietre piccole era più difficile
bisognava fare in modo che andassero tutte a posto, allora ci
ha messo così tanto tempo che l’uomo, il padrone del ciottolato,
era riuscito a scappare, ad avere il suo ciottolato, senza dare
l’anima al diavolo. Io so che questo ciottolato c’è ancora dalle
parti di Fossano, mi sembra.
Testimonianza
di Maria Casana
Anni
65, Saluzzo. "La storia della capra: le persone anziane raccontano
che certe sere verso l’imbrunire, sotto il viale di un santuario
pascolava tranquillamente una piccola capra bianca, che poi spariva
all’improvviso senza alcun motivo. Non aveva padrone, brucava
erba e restava tranquilla. La voce si sparse un po’ ovunque e
tutti volevano vedere questa capretta. Qualcuno azzardò di aver
visto sulle dita delle zampe un anello d’oro. La cosa ormai incuriosì
tutti e una sera di nebbia una persona si appostò dietro ad un
albero, attese la capretta e uscito dall’ombra afferrò la capra
con sicurezza la gamba, la zampa della capra, questa si divincolò
e sparì all’improvviso. Il giorno dopo alla messa molti notarono
che il sacerdote portava il braccio fasciato, proprio dove aveva
la mano con l’anello. Questa è la storia della capra di Saluzzo".
Testimonianza
di Augusta Lauro
Anni
57, Saluzzo. "A me da piccola dicevano che non bisognava mai avvicinarsi
troppo ai rospi perché se ti facevano la pipì negli occhi diventavi
cieco". "Dicono anche che se d’estate gli animali, i gatti o i
cani, mangiano le lucertole o le serpi diventano sempre più magri,
fino quasi a morire". "A noi dicevano che c’era della gente che
faceva della fisica. Questa gente aveva tanti poteri e certi sapevano
persino trasformarsi in animali. So che a Saluzzo vicino alla
Minerva c’era un prete che lavorava di fisica".
Testimonianza
di Enrichetta Frandino
Anni
61, Saluzzo. "Mia nonna Marina, quando aveva dei brividi, diceva
sempre che le passava vicino Catlina che per lei era la morte".
"Una volta due ragazze che tornavano da ballare hanno incontrato
per strada un bellissimo ragazzo che le ha accompagnate a casa,
loro lo hanno fatto entrare nella stalla e questo ragazzo camminava
sù e giù, sù e giù e ogni volta che arrivava al lato della stalla
dava un calcio al muro e uscivano le fiamme e avevano poi saputo
dopo che era il diavolo".
Testimonianza
di Giuseppina Morello
Anni
59, Saluzzo. "C’era una casa sulla collina di Saluzzo, la casa
dei Gautero, che a me hanno sempre detto che era una casa che
aveva le masche, che vivevano dentro le masche, io credo che ci
sia persino ancora adesso, è tutta diroccata, e ora nessuno ci
vive, dicono che tutte le persone che erano andate lì ad abitare
dentro erano subito scappate perché le masche gridavano, facevano
dei fuochi e cantavano, cantavano delle canzoni maledette. Io
però non l’ho mai vista da vicino , non lo so e non ci credo tanto".
"I Lauro,una famiglia che sta in collina avevano una volta nel
cortile, ora l’hanno tolto, un grossissimo noce, noi dicevamo
una nusera e una volta la gente che abitava vicino diceva che
di notte salivano sopra le streghe e ballavano, facevano delle
malefatte e poi facevano ogni genere di diavoleria. Certe dicevano
poi perfino che sembravano delle luci che volavano". "Da piccola
poi mio papà quando le campane suonavano, tornavano a suonare
per Pasqua, lei sa che smettono di suonare per un po’ di tempo,
e allora lui quando queste campane smettevano di suonare, mi faceva
correre veloce, prima che le campane smettessero di suonare, a
lavarmi gli occhi, perché così, diceva mio papà che non avrei
mai dovuto portare gli occhiali e non mi sarei mai ammalata agli
occhi e così è stato!"
La
fata bianca
Un’altra
storia che invece è capitata a me è successa su in montagna
per andare ad alcune cascine. Lì c’è una grossa pietra, una parete
grossa nera e liscia che non ho mai visto in nessun altro posto;
in cima c’è un grosso pianoro che si può raggiungere a piedi,
mentre sulla parete sono spuntate alcune piante da una parte e
dall’altra c’è un piccolo pertugio, una specie di caverna grossa
come mezza porta. Arrampicandosi per la parete e aggrappandosi
alle piantine che sono spuntate si può raggiungere e si vede dentro
il buco una stanzetta . Una donna che abitava in quella cascine
mi diceva che lì dentro viveva una fata e che quando era ventoso
usciva dalla caverna, saliva sul pianoro in cima e stava lì con
la sua veste bianca e il vento che gliela faceva muovere ed ondeggiare
ed era giovane e bellissima perché i miei nonni dicevano di averla
vista. Un giorno, avevo undici anni e dovevo andare alle cascine
dove mio padre teneva le mucche e allora partii a piedi al paese
che erano le quattro, ma a dicembre fa buio presto e così mi ritrovai
sotto la parete nera che era già notte e cominciava a tirare vento,
così per la paura di vedere la fata feci tutto quel tratto di
sentiero camminando al contrario così la fata non la vidi. Lì
si nascosero anche i giovani in tempo di guerra per sfuggire alle
persecuzioni e stettero nella caverna due notti perché sapevano
che nessuno li avrebbe cercati lì. Perino e gli incantesimi Nel
paese c’era poi Perino e si dice che sapesse ( la magia) e che
faceva gli incantesimi . Un giorno si accorse che dei ragazzi,
già grandicelli, stavano rubando le ciliegie dal suo albero; quest’uomo
faceva incantesimi , parlava con gli spiriti e aveva anche dei
libri per fare le fatture, così ne fece una a questi ragazzi,
che in verità erano già dei giovanotti, i quali non poterono più
muoversi e rimasero immobili arrampicati sull’albero . Il mago
era sotto la pianta e diceva : " Adesso vi lascio scendere ma
io resto qui e vi voglio riconoscere uno a uno e vedere la vostra
faccia". I ragazzi ora avrebbero potuto muoversi ma non osavano
scendere per la paura e così rimasero lì fermi. I libri di magia
Il padre di questo signor Perino già possedeva i libri degli incantesimi
e abitava in una piccola casa in paese e morendo lasciò i suoi
libri al figlio che poi lì passò al suo, ma questi non li usava
più e rimasero in una cascina abbandonati. Gli ereditieri della
cascina trovarono i libri e una mia amica, Teresina, una donna
molto furba, li volle leggere per capire come erano questi libri
misteriosi, così aspettò che tutti fossero nel letto la sera e
da sola cominciò a leggerne uno, poche pagine per sera, finché
dopo alcune notti, mentre stava leggendo le accadde qualcosa di
strano. La donna mi ha raccontato che cominciò a tremare, le si
rizzarono i capelli in testa e non osava più girare la pagina,
ma non per le parole che aveva letto, ma sentiva qualcosa dentro
di lei che non le permetteva più di proseguire nella lettura.
Così piano, piano chiuse il libro e poi lo legò insieme agli altri
e li gettò tutti nel fiume Chiusella dopo essersi avvicinata alle
sponde camminando all’indietro per non vedere quando i libri finivano
in acqua. Qui a Traversella c’erano dei libri ma non tutti potevano
leggerli e penso che non tutti possono fare queste cose, perché
non in tutti ha lo stesso impatto. Se poi venivi derubato di qualcosa,
andavi da questo Perino e lui ti diceva : " Ve lo riportano indietro.",
oppure, " Non lo prendete più chi vi ha derubato perché ha superato
il fiume".
Gli
Urciat
Gli
urciat erano dei piccoli diavoli, dei diavoletti non ancora cresciuti
e stavano nascosti dietro a una pianta o dietro a una pietra,
facevano i dispetti alla gente, facevano paura alle persone, stavano
nascosti e quando vedevano qualcuno passare saltavano fuori… a
me li descrivevano così, ma facevano paura a quelli che ci credevano,
non a tutti. L’Ave Maria e le masche Mi ricordo, che le vecchie
donne del Vernej ( una frazione di Traversella), quando scendeva
il sole, ritiravano tutta la roba messa a stendere fuori, perché
dicevano che dopo suonata l’Ave Maria della sera, non bisognava
lasciare più niente fuori visto che allora passavano le masche,
passavano queste strane persone e mettevano il maleficio sulle
cose che trovavano. Ed io mi ricordo che mia madre non se ne curava
e allora queste donne più vecchie le dicevano di ritirare tutto,
di togliere la roba dei bambini, perché stava facendo buio e se
lei non andava gliela ritiravano loro la roba lasciata fuori.
Dopo aver ritirato tutto suonava l’Ave Maria e bisognava aspettare
di sentire suonare quella del mattino per rimettere di nuovo le
cose fuori ad asciugare. Tra le due Ave Marie le masche potevano
girare libere per il paese. All’imbrunire si diceva che usciva
le masche e l’Ave Maria aveva la sua importanza in questi misteri
. Un uomo apparso di notte Questo è capitato a me, che ero piccola;
i miei genitori erano già all’alpeggio mentre io restavo giù con
la zia Marianna perché andavo a scuola. A scuola volevo essere
sempre la prima, ero un po’ superba così la sera stavo a studiare
e la mattina ripetevo la lezione per vedere se la sapevo. Io dormivo
nella stessa stanza con la mia nonna e mi ricordo che ero nel
letto ed era suonata l’Ave Maria dell’alba, ed io pensai di avere
ancora tempo per ripassare la lezione nel letto, ero sveglia ma
avevo gli occhi chiusi . Quando li aprii, vidi un uomo, lì vicino
al mio letto e me lo ricordo ancora bene adesso : aveva una maglia
tinta con il mallo della noce, che era di un bel marrone, fatta
a grana di riso doppia, quattro dritti e quattro rovesci, con
i bottoni bianchi e grossi, poi aveva i capelli lunghi, biondi,
con la riga in mezzo, un po’ come si portano adesso; era un vecchio
ma era un bell’uomo ed aveva una mano tesa che sembrava volesse
farmi una carezza. Io l’ho guardato e l’ho memorizzato e poi ho
chiamato mia zia e mi sono messa sotto le coperte. Ma non c’era
più nessun uomo, eravamo chiuse a chiave dentro, abbiamo guardato
anche sotto il letto ma non c’era nessuno, eppure io l’ho visto.
Questo è un mistero, perché se eravamo in tanti magari non si
vedeva niente ed io, invece, da sola l’ho visto.
Le
masche e lo scialle
Una
volta si raccontava la storia di una donna vecchia che abitava
su per la montagna e aveva due pecore e un figlio, poi, ce n’era
un’altra che abitava in una cascina ma molto più in alto, e aveva
una figlia e due capre. Il figlio della donna che aveva due pecore
si innamorò della ragazza che aveva due capre e così la andava
a trovare e si volevano bene i due giovani. Quando le madri se
ne accorsero, la madre del ragazzo mise una croce al collo del
suo figliolo e gli disse di portare quella croce alla ragazza
che frequentava perché a lei non piacevano tante quelle due donne
con le capre. Il ragazzo allora ubbidì e portò la croce alla ragazza,
che la accettò e gli diede in cambio uno scialle da portare a
sua madre. La donna, quando ricevette il dono della ragazza, disse
: " io non lo uso , appendilo lì a quella pianta." Era proprio
una favola, perché a quell’altezza, in montagna non ci sono più
le piante. Comunque, per continuare il racconto, il ragazzo appese
lo scialle alla pianta e questa prese fuoco. La donna allora disse
al figlio: " Visto che non sono persone da frequentare, che hanno
qualche strano potere diabolico, che sono dei mascùn!".Quando
il ragazzo andò dalle due donne per dir loro che avevano un potere
diabolico, vide che non c’era più la casa né le capre, né la ragazza,
né niente, era sparito tutto. Il figliolo non riusciva a darsi
pace e cominciò a cercare dove fosse finita la sua fidanzata,
ma, poi arrivò vicino a un precipizio e cadde giù e morì, perché
le due donne l’avevano fatto morire e l’avevano portato via con
loro.
L'uomo
selvatico
Sull’uomo
selvatico so solo dei frammenti, so che abitava fuori dal paese,
ma non era come le masche, non faceva dei mali, lui diceva a chi
lo incontrava : " Guardate che quando piove, piove; quando nevica,
nevica; ma quando fa vento, fa brutto tempo." Non era una persona
diabolica, ma viveva in solitudine nella foresta e quasi nessuno
lo riusciva a vedere.
Le
masche, invece, nascono dal diavolo che si traveste e si camuffa
da donna. Nel nostro parlato qualche volta si dice : "Quella là
è una masca!", perché è una donna cattiva, allora le rimane il
soprannome di masca, perché qui si dava ad ognuno il soprannome.
Ma le masche vere sono il diavolo travestito da donna e che va
in giro a fare malefici. Stefano, un pastore che è morto solo
due o tre anni fa, ci credeva ancora a tutte queste cose e quando
non gli riusciva di fare il burro o aveva una mucca malata, pensava
che qualcuno gli avesse fatto del male, allora prendeva la catena
che era legata allora corona della mucca e la bastonava, la bastonava.
Una volta questo Stefano raccontava che c’era un signore che aveva
bastonato la catena per bene, perché una sua mucca aveva qualcosa
e il giorno dopo il parroco era tutto pieno di lividi, perché
dicono che il male ricade su quello che l’ha fatto. I preti di
una volta portavano pena, ma per me era sempre Satana che faceva
queste cose. C’era una cascina, in cui i padroni non potevano
stare perché di notte sentivano aprire la porta, sentivano qualcuno
andare sopra al fieno, salire sopra la scaletta per andare nel
fienile, ed era sempre un prete che appariva e faceva tutto questo,
che faceva gesti con le mani, un prete che aveva vissuto in quella
casa tanto tempo fa. Che i preti avevano dei libri, e avevano
studiato e sapevano fare tutte queste cose. Antichi eserciti Al
Pian Candelle, c’era una storia su un esercito di soldati tutti
morti lì, lì non si parlava di masche ma erano tutte storie di
antichi soldati. Grossa pietra Anche sul Monte Marzo c’erano delle
storie, che non ricordo più, ma c’era una pietra grossa, grossa
che faceva da riparo alle bestie e anche alla gente quando andavano
su, e lì c’era qualcosa di paranormale che non ricordo più.
Il
Dio Thanet e le masche del fiume
Tanto
tempo fa, quando il cristianesimo non si era ancora affermato, l'Antica
Religione pagana era ancora molto sentita in questi luoghi. Il fiume
Tanaro, oggi temuto per le esondazioni ed inquinato dalle fabbriche
che sono sorte sui suoi argini, nel 200 d.C. era adorato come dio:
il bellissimo Dio Thanet. La leggenda narra che il bel dio biondo
vivesse sul fondo del fiume in un palazzo di cristallo dai colori
dell'iride, raramente emergeva in superficie, era schivo e non amava
i contatti con le persone, soprattutto con i pescatori, i quali
non perdevano mai occasione per chiedergli una pesca piu' abbondante,
e le fanciulle ancora nubili, che tutte le mattine andavano a fare
il bucato sulle sue sponde, chiedevano di trovare un buon marito.
Una notte, dal profondo del suo palazzo, Thanet udi' un canto cosi'
dolce che non sembrava neanche umano, per curiosita' si avvicino'
meglio per sentire. Sopra una piccola imbarcazione vide un gruppetto
di donne che spargevano fiori dal magnifico profumo sull'acqua.
Thanet riconobbe tra loro la grande Dea Diana dalla straordinaria
bellezza e dall'infinito potere. Fu amore a prima vista tra i due.
Si celebrarono le nozze nella prima notte di plenilunio tra fiori,
danze e canti. Ancora oggi nelle notti di luna piena si possono
scorgere delle donne su di una barchetta che spargono fiori sul
fiume; i vecchi contadini pensavano che fossero masche ma forse
sono solo le ancelle della Dea Diana che ricordano con nostalgia
i tempi in cui gli antichi dei abitavano le terre del magico monferrato.
Il
Calket
Il
calket, invece è opera di una masca che c’era una volta e che
andava a schiacciare le persone nel letto, sopra le coperte, e
a me lo dicevano i vecchi che stavano su per le cascine. Si diceva
che poteva venire il calket nel letto, che ti schiaccia, ti schiaccia
e ti può fare anche morire, e quando da giovane mi svegliavo di
notte stavo lì ferma perché avevo paura del calket.
Poirino
e le sue storie
Il
pilone di Sant'Eurosia situato presso un bivio della frazione
Cacceri di Poirino è una delle testimonianze, sebbene indirette,
di come anche nel Chierese fossero conosciute le piemontesissime
“masche”, le streghe che solo di rado accondiscendevano a compiere
un'opera buona ma che più spesso erano dedite a malefici ed in
grado di assumere, soprattutto di notte, le sembianze di un animale:
gatto innanzitutto, ma anche cane, cavallo, capra eccetera. E
se si bastonava o mutilava quell'animale misterioso, venuto chissà
da dove, il mattino seguente ci si accorgeva che una certa persona,
la “masca” appunto, era coperta di lividi o monca. Non che, probabilmente,
Poirino fosse terra di “masche” più di altri luoghi del Chierese.
Ma esso è l'unico centro zona in cui un appassionato di tradizioni
popolari abbia setacciato, ormai venti e più anni fa, la memoria
di quanti allora erano anziani e che oggi sono in gran parte scomparsi.
Dai loro racconti si apprende che un tempo le “masche” si sarebbero
date appuntamento la notte al bivio della frazione Cacceri, portando
con sé i “fagot”, da alcuni descritti come involti pieni di “mèisin-e
gràme” (pozioni, ungenti, veleni) e da altri come ricolmi di buoni
cibi: il mangiare a sazietà, del resto, è una costante in molte
descrizioni di sabba, i raduni notturni in cui, presente il diavolo,
si sarebbero celebrati i banchetti, orge, profanazioni di riti
cristiani. Gli anziani poirinesi che resero queste testimonianze
concordavano nell'affermare di ripetere cose narrate dai loro
vecchi, e che le “masche” non si fecero più vedere dopo che, al
bivio dei Cacceri, fu edificato il pilone dedicato a Sant'Eurosia
di Jacca (un centro dei Pirenei spagnoli), vergine e martire di
cui si hanno pochissime notizie certe (fu uccisa, pare, nel 714),
che si festeggia il 25 giugno e che viene invocata contro la tempesta
ed i tuoni e per ottenere un buon raccolto. Poirino è teatro anche
di un altro racconto relativamente recente relativo alle “masche”.
Lo raccolse nel '68 un giornalista della Gazzetta del Popolo,
che a Poirino intervistò l'allora settantaseienne Clara Capra.
Da giovane il suo defunto marito Giacinto, contadino, le aveva
confidato di aver assistito ad un autentico prodigio: una sera,
tornando dai campi, trovò una cavalla senza padrone nei pressi
del cimitero. La portò nella stalla e alla mattina al suo posto,
legata alla greppia, c'era una bella donna che piangeva e supplicava
“Sono la signora Corrado, mi sleghi, mi lasci andare e non lo
dica a nessuno”. Ma non erano tutte a Poirino le “masche” del
Chierese. Ne rende testimonianza anch'essa indiretta e derivante
da dicerie raccolte fra il popolo, Luigi Cibrario, lo studioso
che nel secolo scorso fu autore di numerose pubblicazioni di storia
piemontese. Scrivendo di Usseglio, paese in cui possedeva una
casa, afferma: “Non mancano nelle valli alpine leggende, e non
mancano ad Usseglio. Dietro la mia casa, al Cortevicio, v'ha una
rocca chiamata il ballo delle streghe. Le streghe vengono volando
da Chieri (povera Chieri!), rubano le galline per via e recansi
a mangiarle sulla fascia violata presso alla punta del vento”.
Fonti
tratte da:
www.valdisusa.it - www.masche.it - Massimo Centini: stregoneria
nel Piemonte medievale - www.provincia.asti.it - www.centroventurelli.org
- www.gpperrone.it - www.nelmiocomune.com
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