
a
cura di ArdathLili
Pagina
dedicata a
Margarita
Delaurino, Lisabecta De Megdiolano e Penta Guarnaza - Napoli - 1506
arse sul rogo per stregoneria
"L'antico
Noce, Sacro e maestoso, ancora ombreggia la radura e se saprai
scivolare lentamente nel languore del crepuscolo..le sentirai..Orsolina
la Rossa, Gostanza, Alcina, Matteuccia...la musica delle danze
frenetiche, lo zoccolio del Dio del Bosco e i canti selvaggi delle
Dianare. Mille sono le storie raccontate nell'abbraccio incantato
delle sue fronde... libri, sogni e incantesimi, un pò di tutto
questo tenterò di raccontarti".
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Il
luogo
La
città di Benevento sorge su un'area che costituisce una piccola
Mesopotamia, terra fra due fiumi (il Sabato e il Calore), che
già nell'epoca neolitica, circa settantamila anni fa, rappresentava
una importante via di collegamento per l'Oriente, anche grazie
alla navigabilità per un tratto del Calore. Nacque come Malventum.
La popolazione era quella Sannita, di lingua Osca. La città divenne
colonia romana nel 268, e sembra proprio che in quell'occasione
il suo nome venne modificato in Beneventum.
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La
città è indissolubilmente legata alla figura della Strega, in
virtù dei suoi antichissimi culti, in particolare quelli dedicati
a Ecate, Diana e Iside, ma anche quelli dei Longobardi: ne fanno
testimonianza epigrafi, templi, ricostruzioni etimologiche, e
leggende, come quella del Noce sradicato dal vescovo Barbato e
dell'Amphisibena. La cittadina irpina di Atripalda, sulla riva
sinistra del fiume Sabato, individuava anticamente la città di
Avellino:questa fu poi spostata di sue miglia a occidente e chiamata
Abellinum, mentre la sua originaria ubicazione prese il nome di
Tripalda.
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Abellinum
distava 16 miglia da Benevento. Il luogo di culto era posto nei
pressi della confluenza di due fiumi, il Rio Rigatore e il Sabato;
il punto d'incontro dei due corsi d'acqua costituisce un'interessante
similitudine con la città di Benevento. Tra queste due città sorge
Altavilla Irpina, la città controlla la stretta valle interna
in cui scorre l'ultimo tratto del fiume Sabato: sembra che il
Noce di Benevento sorgesse proprio in vicinanza di questa città,
in corrispondenza dello Stretto di Barba, in località Ponte dei
Santi (in seguito "bonificata" dai culti cristiani, come suggerisce
il nome).
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Altavilla
costituiva un passaggio obbligato tra Benevento ed Avellino: vi
passava la strada di collegamento fra i due capoluoghi, puo assorbita
dalla Statale 88, definita la Strada Stregata (foto). Al km 54
infatti, proprio nel territorio di Altavilla, si sono avute continue
interruzioni, almeno in tre diversi periodi (il più lungo della
durata di sette anni): qui i misteri dello Stretto di Barba affiorano
dalla folta vegetazione bagnata dal fiume Sabato. Era questo il
luogo dove si radunavano le Streghe per celebrare i loro riti
magici. La città di Avella aveva anch'essa origine sannitica o
sabellica, fino a una ventina di anni fa era considerata il centro
delle attività magiche della zona, mentre in antichità si adorava
Diana (ne fa fede il marmo DIANAE SACRUM MDLXIII, il quale fu
sostituito all'altro DIANAE ET APOLLINI ET CERERI, sulla facciata
del palazzo baronale). Qui la tradizione stregona ha lunghe radici
che affondano nel passato e che sopravvivono ancora nel presente.
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Streghe
e Janare
Rispetto
alla figura classica tramandataci dalla storia e dagli scritti
degli esponenti della cultura clericale del Medioevo, la Janara
è prettamente legata al culto magico della terra, conosce l'uso
delle piante, può comandare gli eventi atmosferici e arrecare
danno all'uomo. E' una donna dotata di conoscenze magiche e come
tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e
negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione
delle erbe ma sa scatenare tempeste. Nella coscienza popolare
non si associa la Janara al diavolo, ella non ha valenze religiose,
ma soltanto magiche, come l'Uria, la Manalonga, le Fate. E' capace
di nuocere agli umani, ma non ha legami con il diavolo, che le
attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un'eretica.
La tradizione vuole che chi nasce la notte di natale sia predisposto
a trasformarsi, se uomo in lupo mannaro, se donna in una janara.
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L'etimologia proposta per il termine popolare Janara metteva in
connessione tale nome con il latino ianua=porta, in quanto essa
è insediatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso
gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale,
in modo che, se la Janara riusciva ad entrare,sarebbe stata costretta
a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter
venire a capo del conto. Ma possiamo anche notare che nel termine
Janara la semiconsonante iniziale è l'evoluzione naturale del
nesso latino "di",pertanto in termine non verrebbe da ianua, in
cui la "i" evolverebbe in "g", ma da Dianaria o Dianiana, aggettivo
derivato da Diana, equivalente a seguace di Diana.
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Pietro
Piperno, i Longobardi e l'Anphisibena
Protomedico beneventano e autore del celebre libro "Della superstitiosa
Noce di Benevento", del 1639, rifacimento della versione latina
dal titolo "De Nuce Maga Beneventana". L'opera stampata nel 1635,
è un omaggio al signor Traiano della Vipera, mentre quella del
1639 è dedicata al patrizio Ottavio Bilotta, del quale viene celebrata
l'antica stirpe,che prende il nome di un antico idolo longobardo,
la vipera d'oro, chiamata Anfesibena o Bilotta, poichè aveva due
teste. Piperno nel suo testo fa risalire l'origine delle streghe
beneventane al tempo dei Longobardi e precisamente all'epoca del
Duca Romualdo. Secondo quanto racconta Piperno, che a sua volta
desume le notizie da una legenda di San Barbato, i Longobardi
adoravano una vipera d'oro e celebrano i rituali attorno ad un
albero.
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Epitaffio
del Noce
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La
preoccupazione di Piperno è quella di dimostrare l'infondatezza
della diceria che Benevento è città di streghe. Infatti il noce
dei raduni longobardi, infestato di demoni, fu sradicato dal santo
vescovo Barbato. Nonostante tutto, sia relazioni di dotti inquisitori,
sia le testimonianze rese dalle streghe, facevano pensare che
il mitico Noce esistesse ancora e qualcuno diceva addirittura
che era rinato, nello stesso posto da cui era stato estirpato.
Lo stesso Piperno localizza in una piantina, acclusa al testo
italiano dell'opera, sia il simulacro dell'Anfesibena, sia il
Noce
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Egli
puntualizza che il Noce, rinato sul medesimo luogo di quello sradicato
da San Barbato, si trova a circa due miglia dalla città, non distante
dalla riva meridionale del fiume Sabato, nella proprietà del nobile
Francesco di Gennaro. Su questo luogo Ottavio Bilotta fece porre
un'iscrizione che ricordasse l'opera di San Barbato. Piperno desume
aneddoti e notizie dai più noti trattati demonogici dell'epoca,
citando Paolo Grillando e Martino del Rio e li fonde con elementi
della tradizione locale. Unica consolazione per l'autore è il
fatto che le streghe non sono mai donne di Benevento, ma vengono
qui da altre parti. Il suo tentativo di dimostrare l'estraneità
della città al convegno delle streghe fallisce proprio quando
dimostra che Benevento è notissima in tutta Europa, per il Sabba.
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Descrizione
del luogo del Noce
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La
Ripa delle Janare e le noci
Il
Piperno riporta la testimonizanza della strega Rosa, che durante
il processo, rispose all'inquisitore che il noce delle streghe
era nella valle benventana, presso un fiume e non lontano dalla
ripa di esso c'era un luogo dove le streghe erano solite danzare.
Lì c'era anche un antro pieno d'acqua dove d'estate le streghe
si bagnavano facendo giochi nella notte di San Paolo (29 giugno)
o in quella di San Giovanni (24 giugno). Ma perchè proprio il
Noce? I suoi frutti, che in un involucro ligneo proteggono i semi
quadrilobati, le cui increspature possono ricordare un cervello
nella scatola cranica, potevano essere utili strumenti per la
magia simpatica, che utilizza oggetti simili a quelli su cui si
vuole esercitare la forza incantatrice.
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Fiume
Sabato
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Sotto l'albero di noce l'erba cresce più rada. Le foglie, i malli,
sono fortemente tannici ed inoltre contengono un alcaloide, una
sostanza tossica, che si chiama juglandina. La decozione delle
foglie usate per iniezioni vaginali serve alla cura della leucorrea
e per lozioni nelle ulcere scrofolose. I cataplasmi di foglie
fresche guariscono le piaghe e le ulcere.
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L'olio
di noce, la decozione del mallo, sono antiemintici (favoriscono
l'eliminazione dei vermi intestinali). Le foglie secche e poi
decotte sono usate per lavature di tutte le mucose; le pennellature
sono utili per le afte delle tonsille. Col mallo acerbo, raccolto
rigorosamente a San Giovanni, si prepara il noto liquore casalingo,
nocino o nocillo, dalle rinomante proprietà stomachiche e digestive.
Ce n'è abbastanza perchè il noce sia caro alle manipolatrici di
erbe. In particolare è interessante la capacità di quest'albero
di accogliere in sè il bene e il male, dice Piperno che nux, ut
arbor, et bonis et malis proprietatibus fuit a natura dotata.Infatti
l'errata manipolazione delle sue parti può far divenire nociva
la sostanza in origine capace di guarire.
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Numerose
sono le applicazioni tramandateci dalle Antiche: le noci unite
al cibo con ruta pestata li trasforma in veleni letali, ma se
poste fra funghi o altri cibi velenosi, ne assorbe ed estingue
la tossicità. Aiutano ad espellere i vermi, unite a cipolla, sale
e miele. Le ceneri poste sull'ombelico sedano i dolori. La corteccia
di noce bruciata e tritata, mescolata al vino e all'olio diventa
una lozione lucidante per capelli ed elimina l'alopecia nei bambini.
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Con
un pò di miele e ruta la cenere della corteccia spalmata sui seni
ne lenisce le infiammazioni, lo stesso avviene per le carie dentarie.
Secondo Piperno i frutti prodotti dal Noce delle Streghe erano
venduti a caro prezzo come amuleti. Essi erano di forma piramidale
a base quadrangolare ed erano utilizzati per combattere terrori
notturni infantili, crisi epilettiche; inoltre i nuclei inseriti
nella cavità uterina facevano concepire figli maschi. In greco
il noce è detto Karion, nell'antichità preellenica sembra che
fosse stato consacrato ad una misteriosa divinità della morte
chiamata Kar o Ker, divenuta presso i Greci Kore, la fanciulla
rapita da Ade e diventata dea degli inferi col nome di Persefone.
Così la Caria in Asia Minore, è la terra dei noccioli e delle
noci e Carias in Arcadia era il villaggio dei noci dove le fanciulle
facevano una danza in onore di Artemide, nome greco di Diana,
che qui era chiamata Cariatide.
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Le
Arcistreghe
Nella
terra beneventana vivevano ed operavano alcune tra le streghe
più famose del mondo: Violante da Pontecorvo, la Maga Menandra,
che abitava nella zona conosciuta oggi come Grotta Menarda, o
la Maga Alcina di cui parla anche l'Ariosto, che viveva a circa
quattro miglia dalla città di Benevento, nel paese di Pietra Alcina
(Pietrelcina); oppure la Boiarona, la quale aveva legato dei demoni
alle noci, anche la Strega Gioconna era solita fare questi malefici.
Ma l'Arcistrega per eccellenza nella zona del Sannio fu Bellezza
Orsini, processata dal santo uffizio di roma nel 1540, la quale
aveva una particolare predilezione per le apprendiste molto belle.
Dopo averle spalmate con l'unguento, insegnava loro la famosa
formula per volare. Conosceva l'arte di combinare le erbe per
guarire i malanni, ma in seguito ad una serie di denunce, fu arrestata,
rinchiusa a Fiano e torturata. Per la Orsini quella della Striaria
era un'Arte concessa solo a quelle del suo rango. Confessò di
essere stata più volte al Noce in compagnia di altre Arcistreghe.
In onore di queste Antiche Maestre ancora oggi facciamo visita
all'albero del Sabba, un luogo fisico, ma anche un luogo del nostro
cuore di streghe; una radura astrale da raggiungere per ritrovare
le nostre amate Sorelle del Corteo.
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Km.
54
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"Unguento
unguento, mandame alla noce di Benvento
supra
acqua et supra vento et supre ad omne maltempo...".
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