Così Gesù, quando torna al cielo, potrà benedirle e a loro volta
le artemisie, poste nelle case, potranno proteggerle nel corso dell'anno.
C'è anche l'Erba bianca, "nome locale", per un'erba abbastanza nota
universalmente. Ce ne sono tante altre. E soprattutto, c'è il celebre
assenzio, l'Artemisia absinthium. Madre di tutte le erbe, l'artemisia,
ha speciali virtù per quanto attiene alle donne: regola quindi le
mestruazioni, impedisce le false gravidanze, è d'aiuto nei parti.
Ha anche ulteriori capacità: secondo Apuleio, un suo rametto fa
sì che il viandante senta meno il peso della via. Scaccia i diavoli,
neutralizza il malocchio e la iettatura. Due belle leggende, a proposito
di quest'erba. La prima riguarda una ragazza che andando a passeggio
finisce, per incidente, in una buca piena di serpenti. Sul fondo
dell'abitacolo c'è una pietra luminosa. I serpenti, affamati, sono
condotti lì dalla regina dei serpenti. Leccare la pietra e saziarsi
è tutt'uno. La ragazza ben presto imita i serpenti e con loro sopravvive.
Ed ecco, l'inverno è passato, si fa avanti, faticosamente, la primavera.
I serpenti si snodano, intrecciano le code in modo da formare una
scala: la ragazza può uscire all'aperto, può rientrare nel mondo.
Prima che questo avvenga la regina dei serpenti le fa un dono: le
dà facoltà di comprendere il linguaggio delle erbe, di conoscere
le loro proprietà medicamentose. In cambio, lei non dovrà mai nominare
l'artemisia. La giovane donna ben presto si rende conto di comprendere,
in effetti, tutto ciò che le erbe si dicono, quello che suggeriscono.
Un brutto giorno però un uomo le domanda, senza preavviso, come
si chiami la piccola pianta che nasce nei campi, ai bordi dei sentieri.
E lei, senza riflettere, risponde: è l'artemisia. E di colpo, ecco
che il linguaggio delle piante le diviene estraneo, ecco che non
lo comprende più cosa sussurrano i fiori dei campi: ha dimenticato
tutto. E' per questo, conclude la storia, che l'artemisia - Cernobil,
in russo - è detta anche "pianta dell'oblio". La seconda storia
ricordata da A. De Gubernatis ci viene dalla Piccola Russia e riguarda
il cosacco Sabba. Questi aveva legato il diavolo - col quale era
per altro in generale in buoni rapporti - promettendogli di romperne
i legami se fosse stato aiutato ad impadronirsi di alcuni cavalli
polacchi cui ambiva. Il diavolo accetta, chiama i suoi amici che
slegano i cavalli, di modo che Sabba possa impadronirsene. L'erbetta
che geme, calpestata, sotto gli zoccoli dei cavalli polacchi, e
fa: "bech! bech!" è per l'appunto l'artemisia. Il suo nome, da allora
in poi, in Ucraina, ricorderà il gemito dell'erba, calpestata dai
cavalli polacchi in fuga. Sarebbero già, da sole, storie di grande
suggestione, ricche di molteplici spunti. Ma la storia dell'artemisia
è ben più ricca, è molto antica. È nota nel mondo greco-romano per
la sua efficacia in caso di convulsioni, può essere usata con buone
speranze contro le crisi di epilessia. Quindi, contro il noto "male
di luna". Pierre Lieutaghi, nel suo Dizionario delle erbe ricorda
che l'artemisia è la "erba santa" degli antichi, oltre che un ottimo
tonico amaro. Ha effetti diuretici, febbrifughi, vermifughi e qualità
antisettiche: pianta che è bene tenere in casa o in giardino. Ha
un aspetto lanuginoso e frastagliato, è quella il cui fusto ha colore
argenteo. Sembra, l'assenzio - e più in genere, l'artemisia - una
pianta come tutte le altre; forse, meno decorativa. Sappiamo che
appartiene alla famiglia delle Composite. In realtà, vediamo che
l'architettura gotica ne ha immortalato le foglie. Ne le sorprese
finiscono qui. Ha piccoli fiori gialli, esteticamente abbastanza
insignificanti. Però, fiori e foglie - che vanno raccolti insieme
- hanno avuto, nella storia della medicina, un posto di tutto rispetto.
L'assenzio contiene infatti un olio essenziale detto absintolo,
particolarmente ricercato e utile. Contiene anche acido tannico
e resine. Ha proprietà toniche, stimolanti, febbrifughe. Interviene
efficacemente contro gli avvelenamenti da piombo. In passato gli
si riconoscevano capacità di tipo reattivo rispetto all'impoverimento
del sangue, dalle anemie a varie forme di leucemie. Ma da dove viene,
che origine ha l'artemisia? Da dove deriva il suo nome? Conosceva
l'artemisia, sembra, il centauro Chirone: maestro di saggezza, medico
illustre, pedagogo di Achille. L'erba ha un ampio spazio nella mitologia
latina. Forse, il suo nome deriva da Artemide, la casta dea delle
foreste e delle selve, che ama la vita solitaria, le notti. Che
è anche Selene o Diana, la luna. Oppure, l'erba deriva il nome da
Artemide regina della Amazzoni: le figlie della Grande Madre, dispensatrici
di morte funesta per l'uomo. Entriamo comunque, con l'artemisia,
in un mondo di femminilità, di istintività. E' fondamentale il richiamo
alla luna, ai suoi ritmi. La luna induce abbassamento della coscienza
di veglia - ci dice la tradizione popolare che non bisogna dormire
alla luce della luna. E i fiori di artemisia sprigionano absintina:
un principio amaro che ha giocato in passato il ruolo di una moderna,
contemporanea droga, che provoca "allucinazioni, delirio e morte.
Di questa morte furono vittime alcuni poeti ed artisti : dell'ottocento".
E' amaro, l'assenzio. E' temibile. Lo sa bene Giovanni l'Evangelista.
Suona infatti la tromba il terzo angelo, ed ecco "precipitò dal
cielo una stella grande accesa come una fiaccola, e cadde nella
terza parte dei fiumi e alle sorgenti delle acque. Il nome di quella
stella è Assenzio. E una terza parte delle acque si mutò in assenzio
e molti degli uomini morirono di quelle acque perché s'erano fatte
amare" Ha virtù mediche, ha capacità venefiche, l'artemisia. E l'assenzio,
temibile e dagli effetti nefandi, di Giovanni l'Evangelista. Ma
è anche la più celebre, forse, delle note "erbe di S. Giovanni",
di Giovanni il Precursore. È l'erba di cui ci parla Manlio Barberito,
quella che si è posta sulla strada del serpente, che ha cercato
di intralciarne il viaggio. Nei roghi che per secoli hanno rischiarato
le notti di mezza estate, hanno consumato le loro brevi stagioni
rovi e cardi, allori e ulivi, eucaliptus e ruta, rosmarino e incenso.
Agli e cipolle, spighette e iperico, mentuccia e scilla, per anni,
hanno protetto il cammino dei viandanti, in notti magiche quali
sono quelle del solstizio estivo: e con loro, l'artemisia. La si
è portata addosso, per la sua virtù di scacciare demoni e spiriti
malvagi, influssi negativi. La si è portata in tasca, perché ha
sempre favorito i viaggi. Si ricorda l'uso, in varie zone d'Europa,
"di dipingere una artemisia sulle portiere delle carrozze, specie
quelle di servizio pubblico, come apotropaico contro gli incidenti
e per garantire un felice viaggio": uso passato poi alle macchine
e protrattosi almeno fino al 1920. Erba del paradiso terrestre,
erba di S. Giovanni, l'artemisia non protegge solo i viaggi fisici,
ma anche, evidentemente, quelli spirituali, quelli che volgono verso
mete celesti. Ci rassicura anche, quest'erbetta, sul cammino del
sole, "sul felice viaggio e il ritorno certo dell'astro". E' pianta
connessa alla luna, certo. Ma è un'erba di S. Giovanni, erba del
sole: ci protegge quindi contro i fuochi negativi, i fuochi nemici:
basterà un mazzetto di artemisia dietro l'uscio per proteggere la
casa dalla folgore. Non per nulla, secondo alcune versioni, la notte
di S. Giovanni è in grado di secernere un carbone che è efficace
contro i fulmini, particolarmente protettivo se preso quella notte.
Ancora una virtù ha l'artemisia: ed è quella di "donare l'incorruttibilità
e di vincere la caducità delle cose". Si temperava, un tempo, l'inchiostro
col succo di artemisia, per rendere la carta inattaccabile dalle
tarme: la parola divina, il verbo deve durare al di là del tempo,
oltre la caducità delle cose umane. La parola - quella portata da
Giovanni, il Precursore - deve restare al di là della corruzione
e della morte. Erba di vita, quindi, l'artemisia. Ma c'è l'assenzio,
che può diventare erba di follia e di morte, veleno esiziale. Erba
della luna, ma anche erba del sole; erba di Giovanni l'Evangelista,
e insieme erba del Precursore. Più complessa quindi, la simbologia
dell'artemisia, meno lineare di quanto si potesse inizialmente supporre.
L'uso popolare le ha sempre riconosciuto capacità diverse, legate
alle sommità fiorite. Ha sempre avuto, l'artemisia, spazio nell'immaginario
magico, sin da quando ingentiliva le processioni per Iside, in mano
ad antichi sacerdoti. Ha protetto, in passato, i parti. Però era
nota per le capacità ipnotiche e abortive: le capacità sono di segno
inverso e contrario. Se usciamo dalla visione dell'artemisia come
erba giovannea, e teniamo presenti le sue radici greco-romane, la
derivazione dalla dea delle belve - o dalle Amazzoni - ecco che
è chiaro che l'artemisia è un'erba che presenta rischi, che può
avere lati oscuri: molto dipendente dalle intenzioni, dall'uso che
se ne fa. L'artemisia come pianta temibile è connessa alla luna,alle
Menadi selvagge di Dioniso, affini per più versi alle Amazzoni:
sono immagini inquietanti che rispecchiano il timore della donna
dotata di autonomia, della donna come essere istintuale. Pianta
quindi, l'artemisia, di santi e di angeli, pianta del paradiso terrestre,
aiuto per Eva, avversaria di Satana. E insieme, pianta delle ombre,
della luna, delle ,inquietudini femminili, dei timori maschili in
merito. Mazzetti di artemisia e di verbena sono stati gettati nel
fuoco e bruciati per anni e anni, nella speranza che la sfortuna,
le negatività della vita bruciassero con loro: sono motivi tutti,
questi del legame con la luna, della emotività e femminilità contro
la razionalità pietrificata, questo dell'uso dell'artemisia contro
le negatività, che ritroviamo, ai nostri giorni, in magie contemporanee
esercitate verso il lago di Bracciano, da uno "sciamano" di oggi.
Secondo il Piccolo Alberto - antico manuale di magia bianca e di
ricette preziose - sarebbe stato sufficiente "fasciarsi le gambe
con strisce di pelle di lepre tagliate da una bestia giovane, nelle
quali si saranno cucite delle artemisie seccate all'ombra, per poter
viaggiare a piedi più velocemente e più a lungo che a dorso di cavallo".
Anche ora, si diceva, l'artemisia agevola viaggi, passaggi rischiosi.
Un giovane uomo di origine bolognese, Magrini, che vive sulle colline
prospicienti il lago di Bracciano. Fa il liutaio, suona antiche
melodie, insegna a chi è interessato a mettersi in contatto "con
le energie sottili", a prepararsi a esperienze fuori dalla norma,
a viaggi astrali, a traversate di letti di braci ardenti. L 'idea
che lo ha mosso è stata quella di vincere la paura del fuoco: una
paura atavica, poiché il fuoco è un elemento primordiale che ha
sempre collegato il divino all'umano. Per aver rubato il fuoco agli
dèi e averlo dato agli uomini Prometeo è passibile di sofferenze
atroci, di castighi perenni. Vincere la paura del fuoco, camminare
su un letto di braci a 800- 1000 gradi è allora vincere antiche
paure. E anche un combattere le convenzioni stereotipate, i modi
di pensare condizionati dai mass media, i timori indotti da una
società mercificata che crea mostri e angosce. Camminare sul fuoco
vuol dire avere accesso alle forze vitali, abbandonarsi, "essere
tutt'uno e farci portare dal fiume della vita" , credere nella possibilità
di far divenire reale, possibile l'impossibile. Scrive Cesare Magrini:
"Attraverso l'alchemico comporsi delle magie vogliamo imparare insieme
a gestire questo enorme potenziale che è a nostra disposizione e
trasformarlo in gioia, salute e sicurezza... Quando la paura...
abiterà a fatica in noi, potremo con allegria, ritmo e sicurezza
trasformare senza dubbi il pensiero in azione, la gioiosa fantasia
in godibile realtà". Ritmo musica, sensazioni raffinate hanno in
questo discorso spazi e riconoscimenti che altrove non si trovano
più: "Qual è la differenza - prosegue Magrini - fra un pettine di
tartaruga e un pettine di plastica tartarugata? qual è la differenza
fra una lacca del settecento e una moderna vernice appena data?
Solo l'ambra ha un giallo così caldo ed una trasparenza così morbida,
solo quel punto è esatto per guarire..." Nel proporre il cimento
della braci ardenti, Cesare Magrini si richiama al fascino della
luna, enfatizza assonanze ed elementi maschili che implicano ricerca
di potere e di successo, esplicitazione del collettivo. Qui invece
domina l'impalpabile, il soggettivo. Musica, ritmo, canto del mantra
inventato dallo sciamano - un versetto dell'Ecclesiaste recitato
al contrario. C'è, quindi, la parola. Ci sono anche - elemento di
grande importanza - le mani. Le mani da cui deriva la guarigione,
perché chi avrà vinto la paura del fuoco vincerà anche altre paure:
anche quella dei mali che ci derivano dal mondo contemporaneo. Lo
sciamano del fuoco è anche un guaritore. E le erbe? Possibile che
siano proprio loro, a mancare all'appello in questa magia contemporanea?
Non mancano. Con la luna, con il fuoco, con la musica e il mantra,
c'è l'artemisia. Non compare nel prato, dove ci sono gli ireos e
la vaniglia, le spighe di lavanda e il melograno. Tagliata invece
in piccoli cunei conficcati nelle mani e nei polsi dello sciamano,
l'artemisia concorre - con la luna, la musica, il mantra - a creare
un mondo di realtà - irrealtà. Un mondo di femminilità, di sogni,
di soggettività, di spazi di autonomia e libertà di fronte alla
coercizione del sociale. Un mondo in cui tutto è possibile. Ci si
può domandare se l'uso di una formula, di uno specifico mantra,
se il ricorso a suoni speciali, ad erbe particolari in relazione
alla difesa del Singolo, se l'utilizzo di questi elementi in funzione
di rottura di certi schemi, di ribaltamento di certi valori sia
o no un fatto nuovo, se si tratti cioè di un qualcosa che si lega
strettamente al mondo contemporaneo, alla modernizzazione, all'era
- come alcuni la definiscono - post-industriale. Oppure se si tratti
di motivi ataviciche ogni tanto riaffiorano con maggior forza o
violenza, con maggiore visibilità. Ci si può legittimamente interrogare
sul perché di fatti del genere, oggi, in uno specifico contesto
come quello italiano. Sono domande cui è difficile dare risposte
esaurienti e persuasive. Destinate, forse, a rimanere senza risposta.
Quel che comunque qui interessa rilevare è che l'artemisia non si
accontenta affatto di un ruolo secondario. Non accetta di essere,
nel ventesimo secolo, un'erba domestica, un'erba culinaria. Non
le basta affatto, di dare aroma all'aceto, come Dragoncello, o di
arricchire le insalate, o ancora di aromatizzare carni bianche e
pesci, frittate. No. Vuole, invece, riaffermare il suo ruolo nella
magia. Vuole porsi come erba che ancora aiuta percorsi, cammini
difficili - se non impossibili. Vuole aprire vie nuove e incantate
di fronte a chi sia desideroso di nuovi percorsi materiali e spirituali.
E c'è riuscita.
|